Natale nella tradizione “genovese”

Se parliamo di tradizioni a Genova dobbiamo tornare indietro parecchio, quando per festeggiare il Natale gli antichi genovesi mettevano via scorte durante l’autunno, per non farsele mancare a Natale.
Durante tutto l’anno si facevano rinunce e sacrifici, ma per il pranzo di Natale non doveva mancare nulla.
L’11 novembre, giorno di a San Martino, si faceva l’ultimo pasto abbondante, sino ad arrivare alla vigilia di digiuno, il 24 dicembre in cui si beveva una tazza di brodo col cavolo nero, aspettando la sera successiva.
Il pasto Natale cominciava, al calar del sole del 25. La mattina i bimbi andavano nelle botteghe dei fornai a comprare il pane, questi li accoglievano regalando loro piccoli dolci.
Il pasto natalizio era davvero suntuoso, il primo piatto era rappresentato dai natalin in brodo di cappone, che poi si ritrovava come secondo piatto, lesso con mostarda.
Nei secoli a seguire, in momenti di particolare ristrettezza il cappone veniva sostituito con il “capponmagro” a base di gallette del marinaio, pesce povero e verdure. Dopo la scoperta dell’America, arrivò sulla tavola di Natale la tacchina arrosto con patate e la tacchinella alla storiona con salsa verde, piatto ancora oggi molto amato.
Durante le feste, era sovente trovare sulle tavole la scorzonera fritta. le radici bollite, e i tipici stecchi fritti.
Il pranzo delle feste terminava con il latte dolce fritto, gli anicini, la frutta fresca e sciroppata, frutta secca e candita, e il pandolce, rigososamente alto a quei tempi (quello basso è più recente), su cui veniva posto un ramoscello d’alloro. Il più giovane componente della famiglia toglieva il rametto e tagliava il pandolce mentre il più anziano serviva le porzioni a tutti, seguendo un ordine preciso tenendo conto dell’ età e delle gerarchie familiari.
Un grande ramo di alloro ornato di dolcetti e torroncini, fungeva da albero, e nel focolare era tradizione far bruciare un ceppo di alloro fino a Capodanno.
Il 26 dicembre insieme ai ravioli preparati con gli avanzi del giorno precedente conditi col “tocco, si mangiavano i “berodi” o sanguinacci.
Ma le tradizioni gastronomiche si ritrovavano anche nelle festività successive: a San Silvestro la trippa era considerata di buon auspicio.A Capodanno si preparavano i corzetti della Valpolcevera (quelli fatti a 8) al sugo d’ arrosto di maiale, e si portava a tavola a fine pasto grappoli d’uva portafortuna.
Oggi sulle tavole della feste le tradizioni si tramandano ancora, simbolo di continuità gastronomiche che mai andranno perdute.

Laura Gambardella

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